Un argomento molto interessante del quale abbiamo parlato nel corso delle lezioni è stato quello della MATEMATICA DI STRADA.
Ha trattato approfonditamente tale argomernto Keith Devlin, che ha scritto un libro intitolato “L’istinto matematico” , nel quale si constata come i venditori di noci di cocco e gli acquirenti del supermercato se la cavino benissimo con la “matematica di strada”, “naturale” e piena di significato, con
calcoli e problemi pratici e significativi, mentre falliscano con la “matematica scolastica”, perché astratta, ma molto importante e potente come linguaggio universale. Devlin osserva: “ Il problema che molte persone hanno con la matematica scolastica è che non sono mai arrivate a comprenderne il significato: rimane per sempre un gioco astratto di simboli formali.”
Questi risultati vengono confermati nelle nostre classi, quando abbiamo a che fare per esempio con alunni nomadi. La loro particolare condizione di vita influisce sulla formulazione e concettualizzazione di categorie come spazio e tempo. Se l’acquisizione del senso del tempo avviene – come sostiene Piaget – contemporaneamente a quella dello spazio, sulla base delle esperienze di vita a cui si trova esposto un bambino, è chiaro che l’esperienza concreta e vissuta, esistenziale del tempo, la sua percezione e il suo uso da parte dei rom ancora in movimento o per lo meno di quelli che ancora viaggiano per una buona parte dell’anno, debba essere molto diversa dalla nostra di sedentari. Il tempo dei rom è sempre incerto, imprevedibile, insicuro, minaccioso, discontinuo, poco programmabile.
La matematica di strada deve far riflettere: per capire è importante collegare le FORMULE con la REALTA’, affinchè ciò che viene insegnato acquisti significato e venga finalmente introiettato.